Monet e le sue ninfee

Splendenti, effimere, irradianti colore. Le Ninfee rappresentano l’ultima fase del percorso creativo di Monet e raccontano l’animo profondo di questo straordinario artista del Novecento riuscendo a sollevare nuovi e sorprendenti interrogativi.

Nel 1883 Claude Monet decide di trasferirsi a Giverny con la sua seconda moglie Alice Hoschedé. In questo periodo Monet è fortemente ispirato dall’oriente e dalla tradizione giapponese e decide di realizzare un giardino popolato di piante esotiche, rose e tulipani, oltre che un ponticello in legno e uno stagno su cui galleggiano splendide ninfee.

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Claude Monet a Giverny davanti allo stagno delle ninfee, 1905.

Questo piccolo mondo costruito su misura permette a Monet di immergersi nella natura e dedicarsi completamente alla pittura. L’ambiente e le ispirazioni orientali influenzano fin da subito le sue opere in cui compaiono elementi ben riconoscibili come il ponticello rosso.

Nel giardino di Giverny Monet sperimenta un nuovo modo di rappresentare gli oggetti del mondo. Le sue tele in precedenza catturano molti elementi diversi, vicini e lontani, piccoli e grandi con l’idea di rendere la complessità del reale. Ora invece lo colpisce la possibilità di dipingere uno stesso elemento in una serie di immagini diverse.

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Claude Monet, Falaises à Pourville, soleil levant (1897).

La prima serie di Monet è quella dei Pioppi (1890-1891) seguita dai Covoni (1890-1893), dalle Cattedrali (1892-1894) e dalle Scogliere (1896-1897). Isola, un singolo oggetto, inquadrato da una luce intensa. In precedenza è la complessità del paesaggio a far vibrare la tela, ora questa relazione è capovolta. Il soggetto e persino il punto di vista dell’opera non cambiano, quello che cambia è la luce.

Dal 1897 saranno le ninfee a catturare l’attenzione dell’artista che arriverà a studiarle approfonditamente rendendole il soggetto privilegiato nei suoi ultimi anni di vita. Man mano che le ninfee prendono piede nell’immaginario e nella curiosità del pittore ecco che gli altri elementi scompaiono per lasciare spazio alla quella che viene considerata la più grande opera di interpretazione e identificazione con la natura intrapresa in tutta la storia dell’arte.

Il ciclo delle Ninfee si compone di cinque periodi diversi. Il primo del 1897 è solo un inizio, un tentativo di avvicinarsi a questa idea nuova. La seconda fase comprende le opere intitolate Le bassin aux nymphéas dipinte nel 1899 ed esposte alla galleria Durand-Ruel e altre sei, di taglio un po’ diverso, dipinte nel 1900.  Dal 1903 al 1909 Monet comincia una terza serie dal Le Nymphéas, série de Paysages d’eau e da questo momento in poi è possibile cogliere una nuova dimensione della sua pittura. I vuoti lasciano la tela mentre il colore, la luce e la materia riempiono completamente gli spazi, fondendosi.

Claude Monet Le Bassin des Nympheas 1904 Denver Art Museum
Claude Monet, Le Bassin des Nympheas (1904). Denver Art Museum

In questi “paesaggi di riflessi” (come li definisce lo stesso Monet) la superficie dell’acqua cattura tutto ciò che c’è intorno e che vi si riflette. Non si vedono più né il ponte né gli alberi, ma solamente le ninfee bianche, rosa, gialle o rosse, e le foglie. L’erba che si muove sotto il pelo dell’acqua si mescola con i riflessi delle fronde e delle nuvole. Nel tentativo di corrispondere completamente la realtà visibile, in un realismo a suo modo estremo, Monet si distacca dalla convenzione impressionista e supera l’idea stessa di paesaggio.

Gli oggetti si dissolvono nella superficie, il colore è un mosaico vibrante, scomposto in migliaia punti trattini, in sfumature elementari, in particelle di luce. Monet accosta toni cromatici e sovrappone strati sempre nuovi e le pennellate diventano movimenti di danza.

La quarta serie delle ninfee è la serie delle Grandi Decorazioni, oltre venti pannelli i che vanno dai tre ai sei metri, e sono ora sparsi per i musei del mondo e sono la fase preparatoria della quinta e ultima serie delle Ninfee il grande complesso decorativo che oggi è conservato nelle due sale ovali del “Musée de l’Orangerie des Tuileries” a Parigi e considerate da molti come il culmine del rapporto tra pittura e natura in tutta la storia dell’arte.

Sembra quasi che alla fine del suo percorso artistico Monet rinunci al tentativo di fermare il tempo sulla tela per concentrarsi sulla rappresentazione di uno scorrere interiore ed è solo con la ripetizione, la reiterazione che si può annullare la dimensione effimera di tutte le cose.

In queste ultime tele paysage d’eau si trasforma in paysage d’esprit. La radice naturalistica dell’opera rimane ma è pervasa da un senso di premeditazione artificialità. Tutti i criteri prospettici tradizionali sono scardinati, l’alto e il basso, il cielo e l’acqua, risultano indistinti. L’effetto è sorprendentemente immersivo: lo spettatore entra nella visione dell’artista ed è invitato a condividerne la dimensione intima e interiore, un personale scorrere del tempo. Si tratta di uno studio che, secondo Argan, separa l’immagine come fatto interiore dall’esteriorità ed oggettività della cosa. E mentre la cosa è definita, la sua immagine tende invece a occupare tutto lo spazio della coscienza. Monet crea un nuovo spazio, quello dell’interiorità, che rende colui che guarda non più l’occhio fisico ma attore di uno sprofondamento. Si realizza così una sovrapposizione quasi totale tra pittore e osservatore.

Monet's Lilly pad garden is heaven on earth 🌸🎨 #giverny

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