Le uova folli di Casorati

Guido Balzani, @AltreMuse

La mostra di Felice Casorati alla Fondazione Magnani Rocca vanta un numero elevatissimo di opere del celebre pittore. Ci sono le sue più rinomate. C’è l’Attesa (1918), il ritratto a Ritratto di Silvana Cenni (1922), Concerto (1924), Le vecchie comari (1908), la rarissima Conversazione platonica (1925), che ha respirato poche volte l’aria delle esposizioni, e Le signorine (1912).

Dalle prime opere alle più recenti, quelle degli anni Cinquanta e Sessanta, Casorati cambia stile: comincia con la leggerezza delle macchie d’acquerello, poi passa ai volumi tondeggianti e ben definiti; quindi, arriva alle forme e ai colori, che si mangiano tutto il resto. Rimane però una costante, e non mi riferisco ad un vezzo, alla pennellata o alla luce. Intendo proprio che, in tutte le sue fasi, rimane acceso l’interesse verso un oggetto singolare, l’uovo. Compare per la prima volta in alcune nature morte, poi lo appoggia distrattamente su tavoli o lo nasconde in ceste di limoni.

E siccome rimane muto e costante, necessita di spiegazioni. Troppo facile, però, leggere le uova come una citazione colta dei grandi del passato – l’uovo affolla la cultura cinquecentesca, da Piero della Francesca a Carpaccio -. È vero, Casorati è annoverato tra quei pittori che tornarono all’ordine della figuratività classica – e che non fu mai classicismo – presa direttamente dal Rinascimento1. L’arte rinascimentale Casorati la conosce bene, parla di Botticelli nel 1949, ma si sprecano i suoi riferimenti al passato, che frequenta in modo continuativo, come sono soliti fare gli artisti: non discriminando l’arte sulla base della sua cronologia. Non bastano tuttavia le ariose prospettive, certamente ereditate dal Rinascimento, che fanno da sfondo a Silvana Cenni, a confermare l’idea di Casorati nostalgico entusiasta del passato quattro-cinquecentesco. Casorati poi non è un vandalo: non stacca l’uovo pendente dalla conchiglia di Piero della Francesca, quello della Pala di Brera (1472–1474), per riporlo distrattamente su cassettoni in legno di ciliegio, o per allestire sobrie nature morte. Perché mai dovrebbe prendere la tradizione per arredare casa? Per la verità, andrebbe contestata l’idea tutta degli “omaggi” nella storia dell’arte: il passato non è una fidanzata alla quale regalare un mazzo di fiori per ripulire la coscienza dalla abituale dimenticanza. Quando accade che un artista prenda a prestito una forma, o che se la ritrovi tra le mani senza sapere nemmeno lui perché, sotto spesso e volentieri c’è di più.

Piero della Francesca – Pala di Brera (Pala Montefeltro) 1472 circa – Pinacoteca di Brera
Vittore Carpaccio Apparizione dei crocifissi del monte Ararat nella chiesa di Sant’Antonio di Castello (1512-13). Gallerie dell’Accademia, Venezia

L’iconologia, la scienza che studia la trasmigrazione di forme e soggetti nelle immagini, inaugurata dal geniale Aby Warburg, ha dimostrato più volte come il passato, specie quello proveniente dalla tradizione classica, sia un geyser insopprimibile, che gli artisti, quelli veri, ad un certo punto sentono aprirsi sotto i loro piedi. Una sbuffata di quel vapore, ed ecco che ritorna una posa di statua, un danzare di ninfe, o addirittura Venere o Zeus: non invitati, ma che importa? Il passato fa come vuole, che il presente si adatti. Però il gioco dell’iconologia non è un “Trova le somiglianze” tra antichità e modernità. E le uova non sono tutte uguali. Una natura morta composta da uova ciondolate sopra i capi angelicati di Gesù e Maria come minimo potrebbe far alzare la cassettiera da terra. Queste uova invece, quelle del 1920, Uova sul cassettone, sono fredde, per nulla amiche della vita: il Rinascimento le ha deposte, senza però covarle.

Felice Casorati, Le uova sul cassettone, 1920, tempera grassa su tavola

Sconfessata l’immagine di Piero della Francesca come seriosa gallina che si infila di soppiatto nelle tele di Casorati, serve mettere al riparo le uova da un’ulteriore minaccia: quella del Cubismo. La tentazione, si capisce, è forte. Cézanne era stato maestro di decostruzione, smontando il mondo in cono, cilindro e sfera, e inaugurando così la via del Cubismo. Inoltre, la vicinanza temporale a Casorati potrebbe tentare non poco qualche pigra similitudine: al posto della sfera di Cézanne, Casorati, da bravo italiano, si sarebbe guardato attorno, avrebbe infilato una mano sotto una bianca gallina e tirato fuori la cosa più simile ad una sfera – noi in Italia si sa, le forme pure non le abbiamo – alienandosi l’ansimante spirito del tempo. Per fortuna Elena Pontiggia risolve splendidamente un simile malinteso, per altro con una grazia unica:

L’uovo è una figura assoluta, tanto simbolica da racchiudere l’idea della vita e tanto astratta da suggerire una perfezione che non è di questo mondo. Il loro obliquo ammucchiarsi, la prospettiva quasi pericolante rimandano a Cézanne, ma Cézanne non avrebbe mai dipinto quelle forme troppo uguali, quella famiglia aurorale, quella castigatezza calcinata.

Per Casorati invece le uova sono un manifesto espressivo: bisogna sottrarre la vita alla vita per risalire alle idee platoniche. Così l’armadio un po’ stinto accoglie, fra i tarli e la polvere, una natura morta metafisica che ha in sé qualche memoria della quiete eterna.2

La storia dell’arte, dunque, non basta a spiegare il germinare di uova. Che pure segna, dai primordi, la carriera di Casorati, da quando le chiamò Scherzo e le dipinse disposte su di una coperta blu a pallini verdi nel 1914.

Scherzo uova – 1914 circa – Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte – Deposito a lungo termine Castello di Rivoli Museo Arte Contemporanea Rivoli (Torino)

Viene allora un dubbio legittimo: e se fossero il simbolo di una sua ossessione? Se le cose stessero così allora sarebbe difficile, e forse ingiusto, cercare l’animale che le abbia deposte nella mente del pittore. Casorati sembra solare e lucido, di certo non un paranoico, di certo non uno di quelli che rimane imbrigliato nella tela delle ossessioni. Quelle sono cose da francesi, da fumatori di oppio, non da uomini torinesi risoluti. E invece, in un breve studio, Giorgina Bertolino, fa guizzare qualcosa di sommerso, un movimento caudale della psiche del pittore3. Casorati, in una lettera allo scrittore d’arte Lionello Fiumi, si dice convinto che, nelle sue nature morte, si ritrovi il germe della sua pittura. Scorciata da Bertolino, la vicenda delle uova si fa ossessiva. È dal 1914 che Casorati ritrae, tra i vari soggetti, anche le uova; la guerra ferma la mano del pittore, ma posato il fucile e tornato a casa, a Torino, nel 1918, eccolo tornare alle sue amate rotondità. Le uova sul tavolo che vediamo in mostra non sono che del Venti: frutto di una meditazione prolungata nient’affatto destinata ad esaurirsi.

Il prosieguo di questa ricerca è nella mostra alla Fondazione Magnani Rocca. È del 1943 il quadro Natura morta con elmo dove, accanto a due bianche e tondeggianti teste di manichino e, appunto, ad un elmo, due uova – teste in miniatura – contaminano l’opera. Si può far finta di nulla e passare oltre, ma in Limoni sul paesaggio, del Cinquanta, la situazione si ripropone. Questa volta su quello che potrebbe essere un tagliere, o forse più semplicemente un parallelepipedo bianco, poggiato su uno sfondo composto da quelli che parrebbero campi coltivati stilizzati, fanno la loro comparsa dieci bianchissime uova e quattro limoni. Troviamo la tela esposta proprio a fianco ad un’altra natura morta con medesimo soggetto, questa volta epurato dagli emuli gialli: Uova su fondo rosso. Ma ritengo sia del Sessanta, quello che si potrebbe identificare con l’apice della pittura ovipara di Casorati: Uova nel paesaggio. Nella notte azzurra e blu, su due fogli azzurri, brillano quindici, bianchissime uova. Il loro bordo nero è sottile ma vibra, come vibrano i contorni dei campi che si vedono scorciati sullo sfondo. Sconvolge però il cielo. Azzurro e blu anch’esso, ma rischiarato da quello che potrebbe essere il sedicesimo uovo, se solo non fosse la luna.

Natura morta con l’elmo (1947) olio su tavola – GAM – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea – Torino
Uova nel paesaggio (1960) tempera su cartoncino intelato – Collezione privata – Milano
Uova su fondo rosso (1953) olio su tavola, Collezione privata
Uova e limoni o Limoni sul paesaggio (1950) – Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea – Fondazione Guido e Ettore De Fornaris – Torino

L’ossessione allora è tangibile. Di più, è evidente. Possibile che proprio Casorati il saggio, il colto, fosse caduto nel tranello delle forme che già ispirò un libro assillante a Georges Bataille? Mi riferisco a Storia dell’Occhio un racconto del 1928 che ebbe una riscrittura anche negli anni Sessanta4. È la storia di una coppia tormentata, che si diletta in pratiche erotiche molto anticonvenzionali che comprendono urina, sperma, sangue ma soprattutto uova. Anche in questo caso, ad una prima lettura potrebbe sembrare un romanzo erotico, esattamente come davvero potremmo quasi credere che quelle di Casorati siano “solo” nature morte. Ma una seconda lettura svela la natura del racconto. Roland Barthes lo spiegò bene in una nota degli anni Sessanta5. La storia dell’occhio, infatti, può sembrare un romanzo, in realtà è il racconto di una metafora. È la storia disperante di una forma che non abbandona la mente dei protagonisti, che si interrogano senza posa sulle sue somiglianze e che la incontrano incessantemente nel corso delle loro vite. E questa forma non si apre mai alla comprensione, rimane sulla terra come un meteorite, mantenendo segreto il mistero dell’iperuranio, del mondo delle forme.

Felice Casorati. L’Attesa, 1918-1919

Anche Casorati pare imbattersi senza tregua nell’uovo e nella forma dell’uovo e nel suo biancore. Nella già citata natura morta con elmo, addirittura l’alimento si fa rassomigliante alla testa del manichino. Quando è rovesciato invece diventa il volto di Silvana Cenni. Oppure riappare ne L’Attesa. Una donna dorme, dietro lei, ciotole vuote e una tavola apparecchiata. È quasi ora di mangiare, ma quale sarà la pietanza? Forse è lì, conservata nella tondeggiante e calva testa di lei. Servirebbe colpirla con un cucchiaio, forse si sgretolerebbe ed uscirebbe un rivolo arancione, solare, di tuorlo. Allora, e solo allora, si potrebbe cogliere Casorati in flagrante. E dirgli: “Tu non sei mai stato il serio, gioioso, preciso, perfetto pittore. Tu non hai mai respirato l’aria antica, quella greca e romana, quella delle statue, in cerca della pittura: tu solo volevi sapere il segreto dentro l’ellisse bianca”. E la sua pittura si rivelerebbe un imbarazzante gioco di uova. Il gioco di un folle.

Il Casorati ossesso è una leggenda lunare, che racconto in questo articolo di poca importanza, un gioco di supposizioni. Vive alle spalle del suo talento abbacinante, alle spalle del suo controllo: uomo di polso, schivo ed emotivo all’evenienza. Se il lato dionisiaco di Casorati c’è, e se dovesse mai esistere la possibilità di scoprirlo ossessionato, tutto ciò rimarrebbe per sempre nascosto dietro al mistero bianco e conchiuso del guscio.

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1 Cfr. Gabriella Belli, Valerio Terraroli, e Palazzo reale di Milano, a c. di, Realismo magico: uno stile magico (Milano: 24 ore cultura, 2021).

2 Felice Casorati e Elena Pontiggia, a c. di, Felice Casorati: scritti, interviste, lettere, Carte d’artisti 52 (Milano: Abscondita, 2004), p. 188.

3 Giorgina Bertolino, Scherzo: uova (Le uova sulla tavola) (Le uova sul tappeto verde), https://www.castellodirivoli.org/opera/scherzo-uova-le-uova-sulla-tavola-le-uova-sul-tappeto-verde

4 Georges Bataille et al., Storia dell’occhio (Milano: SE, 2008).

5 Roland Barthes, «La metafora dell’occhio» in Bataille et al.

Articolo di Guido Balzani