Luigi Magnani, uno dei massimi collezionisti di opere d’arte al mondo, nella sua dimora realizzò un vero Pantheon dei grandi artisti di ogni epoca, un tempio che si andò animando lentamente con l’acquisizione di dipinti, sculture e arredi unici, dai cinquanta Morandi, che l’autore disponeva personalmente alle pareti in segno di amicizia, poi il Dürer ritrovato in un convento di clausura, il Tiziano fiammeggiante di colore, il Goya più importante al di fuori del Prado, consolazione del mancato acquisto di un Caravaggio, fino al Monet, ai Renoir, ai Cézanne e al Canova degli ultimi anni della sua vita, in un processo di identificazione spirituale con le opere che giungevano ad abitare la sua dimora come la scena della sua vita intellettuale.

Laszlo Vinkler – Ritratto di Luigi Magnani, 1936 olio su tela

Oggi la Fondazione Magnani-Rocca di Mamiano di Traversetolo è una casa-museo sontuosa e sorprendente, la ‘Villa dei Capolavori’ visitata ogni anno da molte decine di migliaia di persone.

La figura di Magnani, uomo di cultura tra i grandi della sua epoca, studioso d’arte, musicologo, scrittore e co-fondatore di Italia Nostra, è raccontata nei saloni della sua Villa, attraverso le opere da lui volute con febbrile passione intellettuale; vi si ricrea quel dialogo, che egli tanto amò, tra la pittura, la musica, la letteratura, e si scoprono i suoi interessi e le personalità di cui fu sodale o alle quali si appassionò.

Magnani frequentò infatti celeberrimi artisti, critici, musicisti, letterati, registi, aristocratici, da Bernard Berenson e Cesare Brandi a Margaret, sorella della regina d’Inghilterra, da Eugenio Montale allo stesso Giorgio Morandi, fino ad Alberto Burri; ricevette omaggi pittorici alla sua passione per la musica dai più grandi artisti italiani del Novecento, da Severini a Guttuso, de Pisis, Manzù, e ancora Morandi.

Magnani moriva fisicamente quaranta anni fa, il 15 novembre 1984; allontanandosi dalla terra portò con sé un mondo, una civiltà.

A lui si addice l’appellativo di signore, nel senso in cui erano signori i grandi mecenati del Rinascimento, che del potere e della ricchezza si servivano senza servirli, con il distacco di chi delle ricchezze gode, avendole ereditate e si adopera anche per conservarle e incrementarle, non come fini in sé, ma come mezzi per preservare e accrescere la bellezza del mondo – l’arte, la musica, la letteratura, il paesaggio – indispensabili beni dello spirito, in assenza dei quali l’uomo cade nell’abbrutimento.

Alla sopravvivenza individuale Magnani credeva fermamente, cattolico professante com’egli era per personale convincimento, oltre che per tradizione di famiglia, e una personale strategia di immortalità pare avere elaborato nella costruzione di un proprio monumento, imperituro perché dalle solide fondamenta morali e civili, nel compimento di un’impresa degna di un eroe romantico. Ricchissimo, unico erede di una fortuna costruita sull’industria casearia, Magnani ebbe dal destino la possibilità finanziaria, e se ne avvalse, di costruire una raccolta d’arte formidabile, esteticamente e accademicamente inattaccabile. 

Non soltanto raffinato nella scelta, ma sempre mosso dal desiderio di salvare e recuperare all’Italia capolavori minacciati da oscuri destini, Magnani fu un intenditore e un mecenate, che s’incantava solo ai valori della vera pittura; la raccolta di opere d’arte, pur essendo il suo lascito più concreto, fu per lui, in maniera profonda e profondamente testimoniata, parte di una ricerca e di un anelito di conoscenza che non ha mai privilegiato una modalità d’espressione artistica, ma sempre e con grande rigore etico ha cercato in ogni opera (musicale, figurativa, poetica) indagata e amata, la volontà e l’intelletto dell’autore, la tensione spirituale e il desiderio di trascendenza.

Un oggetto, un dipinto, per essere degno dell’acquisizione doveva avere fra i requisiti di essere di autore eccelso, raro, introvabile, ma anche la provenienza doveva essere impeccabile e altolocata. Per entrare in quella che verrà poi denominata ‘Villa dei Capolavori’ le opere, i suoi “angeli”, dovevano corrispondere alla sua idea dell’arte, e della qualità formale nell’arte; un’idea aristocratica e personalissima, che, come si è detto, non variava tra pittura, musica e letteratura, riuscendo, come pochi, con le sue ricerche e i suoi scritti su Correggio, Morandi, Mozart, Beethoven, Goethe, Stendhal, Proust, a ricongiungere le ragioni del sentimento e quelle dell’intelletto. 

Perché il suo progetto avesse un senso era necessario che l’acquisto delle opere d’arte non fosse fatto per il piacere egoistico di una persona, sia pure come lui raffinata, ma per la collettività. Magnani nel 1977 costituì la Fondazione Magnani-Rocca, in omaggio al padre Giuseppe e alla madre Eugenia Rocca: è così che la virtù intellettuale si fece virtù civile, donando a Parma e all’Italia una piccola Versailles.

Oggi la dimora di Luigi Magnani – la magnifica Villa, le raccolte d’arte e il grande parco romantico – è una delle meraviglie d’Italia; è concresciuta alla vita del suo abitatore, intrecciata a lui in modo inestricabile, sì che soltanto attraverso i suoi quadri, le sue sculture e i suoi oggetti – i mobili Impero, gli argenti, le pagine miniate, le incisioni, le ceramiche, i tappeti – il sublime intellettuale è riuscito a raccontare veramente se stesso lasciandoci il proprio Autoritratto.

Stefano Roffi
Direttore Scientifico della Fondazione Magnani-Rocca