Scipione e "Il Cardinal decano"

Quando la grande tavola Il Cardinal decano viene esposta per la prima volta alla XVII edizione della Biennale di Venezia (4 maggio-4 novembre 1930), è stata terminata da poco. Eppure diventa da subito il simbolo della pittura di Scipione e del suo controverso rapporto di amore e odio per la Città eterna, per i suoi recenti cambiamenti, sia architettonici che sociali.

Scipione fin dal 1927 è attratto in modo irresistibile dalla figura del Cardinal Vannutelli e la ritrae in disegni, schizzi, bozzetti (compreso quello che si trova al verso della stessa tavola), affascinato dalla personalità del Cardinale e mosso da quei sentimenti di fede, accesi, ardenti, infiammati come le sue opere, dai quali sarà attraversato per tutta la sua breve vita e in particolare in questi ultimi suoi anni. Il Cardinale all’epoca ha 94 anni (morirà il 9 settembre dello stesso anno) ed è decano dal 1915, quando morì suo fratello Serafino, a sua volta Decano.

Una storia, questa dei due fratelli cardinali, al limite dell’ortodossia, che richiamava alla mente quella del clero tardo-rinascimentale e che aveva suscitato imbarazzo in parte della gerarchia ecclesiastica. Figura controversa, intrisa di patriottismo ottocentesco, energico nelle azioni e nel portamento, brillante e rapido nell’ascesa all’interno della curia, dedito alla dottrina e di una religiosità profonda, il Cardinale non aveva avuto compiti di grande rilievo durante il pontificato di Pio XI, ferme restando le sue attività di Decano.

Agli occhi dell’artista, il Cardinale Vincenzo Vannutelli rappresenta sicuramente l’incarnazione della fede, del clero, della forza spirituale e della stessa Chiesa di Roma, ma assume anche un’ulteriore simbologia. Controverso era il momento storico-artistico rispetto al clima politico e delicato il rapporto tra regime e papato, proprio nel momento in cui si firmano gli accordi per una revisione delle relazioni tra Stato e Chiesa.

Scipione, Il Cardinal decano, 1930
Scipione, Il Cardinal decano, 1930

Roma è al centro degli interessi generali per la sua trasformazione urbanistica e per il suo significato supremo nel cattolicesimo. Sta nascendo una nuova iconografia della città. Per un artista della personalità di Scipione coesiste il dramma morale degli anni che sta vivendo nella trasfigurazione del potere e nelle lacerazioni sociali. I suoi scritti, lettere e poesie, ci raccontano di un insistere sul tema dell’Apocalisse, come una visione che si è ormai insinuata nella sua vita, complice anche la malattia, in un corpo e in un animo giovanissimi e ancora vigorosi. Da Roma, dalla sua storia e dalle sue immagini è assolutamente rapito e le passeggiate notturne, dove unisce il silenzio alla potenza penetrante della città antica e barocca, gli trasmettono forza e angoscia al tempo stesso, quando lo sguardo si volge ai monumenti e alle rovine, alla ricerca di quel mistero che solo Roma possiede, tra paganesimo e spiritualità, che lui, Scipione, si sente in obbligo di ‘rivelare’ attraverso la pittura.

Così nasce l’attrazione verso il Cardinale, pieno di vita nonostante il secolo che porta sulle spalle e al tempo stesso nel declino di una civiltà alla quale pure appartiene con tutto se stesso, il viso ancor giovane e determinato, le dita lunghissime scheletrite, quasi divorate della carne. Vincenzo Vannutelli domina sulla superficie del dipinto. Roma – con i suoi simboli cattolici – lo circonda. Il quadro è eseguito in un’ora imprecisata del giorno, ma mai si capirà lo scandire del tempo reale nelle opere romane di Scipione. Nella staticità delle forme, corre la luce e sembra un vento rosso di fiamme, che voglia trascinare con sé il cielo e gli angeli sul colonnato. “Gli angeli di Scipione erano i più veri, erano gli angeli di pietra che abbandonavano i ponti sul Tevere per imporre un brivido di stupore ai placidi cittadini” (così nella descrizione dell’amico G.B. Angioletti, I grandi ospiti, Firenze 1960).

Il cromatismo scuro che pervade tutto il dipinto è di un olio corposo e denso, senza preparazione della tavola, ma con strati di colore campiti più volte. Non è sorprendente se le analisi effettuate durante il restauro del 1984 hanno evidenziato nella prima stesura di colore rosso sotto la veste del Cardinale e in quella del cielo, rispettivamente uno strato di colore continuo grigio scuro e uno di colore grigio contenente cristalli blu oltre a pigmenti gialli e neri. Sono i colori che Scipione descrive in una lettera a Libero de Libero, proprio nel 1930, parlando della propria solitudine: “La solitudine inaridisce il cuore, sa scavare, come una talpa, e come essa ha il pelo morbidissimo, impalpabile, ed è del suo stesso colore, grigia. Tutti i grigi che vanno verso l’azzurro e tutti i grigi sordi misteriosi che vanno verso il rosso” (in Carte segrete, p. 39).

In questa opera è la fusione di teorie quali “la deformazione soggettiva” longhiana, il “gusto” di Venturi come “riconoscimento della rivelazione nel processo creativo dell’opera d’arte“, l’attenzione alla tecnica, al mestiere. E come non pensare alle disarmonie di Ungaretti, agli occhi umani che non possono più aprirsi se non sugli abissi? Ma la novità assoluta sta nell’assimilazione e nella riproposizione dell’espressionismo di matrice tedesca, proprio a Roma – terreno germinante per l’arte classica – come epifania, predizione di un futuro prossimo minaccioso e temibile. E qui è la nuova simbologia che incarna questo dipinto: si contrappone come un macigno alla Terza Roma, la rifiuta, la disprezza perché con il suo avvento la città ha interiorizzato il colore del sangue.

La famiglia del Cardinal Vannutelli ancora negli anni quaranta si lamentava di vedere riprodotto il ritratto in libri e riviste ed è probabile che nel Monito di Pio XI e nei successivi, più espliciti attacchi della Commissione d’Arte Sacra contro la compiacenza degli artisti italiani verso le “rozze” forme provenienti dall’arte tedesca baluginasse l’immagine de Il Cardinal decano.

La grande mostra Roma 900 De Chirico, Guttuso, Capogrossi, Balla, Casorati, Sironi, Carrà, Mafai, Scipione e gli altri nelle Collezioni della Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale ti aspetta alla Villa dei Capolavori della Fondazione Magnani Rocca dal 21 marzo al 5 luglio 2015.