Una scheda critica di Vittorio Sgarbi dedicata al capolavoro di Gentile da Fabriano conservato nella collezione permanente della Fondazione Magnani Rocca.
In antico il San Francesco era unito, non a dittico, ma a doppia faccia, con l’Incoronazione della Vergine ora nel J. P. Getty Museum di Malibu. La storia esterna del dipinto, dettagliatamente ricostruita da Keith Christiansen nella sua monografia del 1982 su Gentile da Fabriano, si può così ricapitolare: il San Francesco, con il dipinto compagno, è ricordato nel 1827 in un manoscritto del pittore fabrianese Vincenzo Liberati, pubblicato dal Molajoli nel 1927: “Due quadri da cavalletto esistono presso questo nostro V. Seminario, raffiguranti l’uno la Coronazione di Maria Vergine e l’altro San Francesco che riceve le stimmate; questi sono in fondo d’oro d’un lavoro eccellente; tali quadri furono ceduti in dono dai PP. Francescani ai PP. Filippini, e ora, soppressi questi, sono passati in dominio del V. Seminario”.
Considerando che la Congregazione di San Filippo Neri fu istituita a Fabriano nel 1628 e che il manoscritto indica i dipinti, in un tempo precedente, presso i Padri Francescani, è legittimo presumere che essi, anche in considerazione del soggetto con il fondatore dell’Ordine, fossero fin dall’origine stati concepiti per il convento francescano di Fabriano. Un’altra mano più tardi aggiunge al manoscritto che una copia del doppio dipinto, riferita ad Antonio da Fabriano, era in casa Bufera a Fabriano.
Vide questa copia, ritenendola di Gentile, il Passavant, che confermò il radicato rapporto devozionale fra la comunità di Fabriano e il doppio dipinto, da lui descritto come uno stendardo professionale: “Un’altra Incoronazione della Vergine dipinta su campo aurato, e un San Francesco che riceve le stimmate, colorito sul rovescio della tela, erano tenuti in grandissima venerazione appresso i fabrianesi, i quali, in occasione di feste, li portavano a processione. Nel 1835 furono da noi veduti a Fabriano in casa de’ Bufera”. A partire dal 1858 risultano separati. E già nel 1853 essi erano passati in casa Morichi; qui, concordemente, Eastlake e Cavalcaselle lessero sulla copia del San Francesco l’iscrizione: “Ano domini 1452, die 25 de Martio”. Una data che naturalmente non corrisponde all’attività di Gentile da Fabriano, ma conviene alla replica di cui conosciamo lo scomparto con l’Incoronazione ora all’Akademie der Bildenden Künste di Vienna (sulla cui attribuzione si vedano Grassi e Christiansen, che confermano il nome di Antonio da Fabriano, mentre Longhi [1928, p. 75] pensa a un artista umbro, “nel genere del Bonfigli”).
L’equivoco del Passavant risale ad Amico Ricci, che, nel 1829, chiama i due dipinti con il nome di Gentile. Questa tendenza è seguita dal Marcoaldi che vide le due repliche in casa Morichi e il San Francesco originale in casa di Romualdo Fornari, del quale descrive la raccolta di quadri di pittori fabrianesi. Il San Francesco era giunto nella collezione Fornari prima del 1858, anno in cui lo vide l’Eastlake. Frattanto la sua replica, non ancora divisa dall’Incoronazione (per le cui vicende si veda Christiansen), era passata, nel 1873, in casa Rotondi a Fabriano; nel 1899 è elencata tra le opere della collezione di Filippo Pirri a Roma e nel 1892 viene offerta da Ernesto Aurelio al British Museum. Oggi se ne sono perse le tracce. L’equivoco pirandelliano di queste doppie repliche culmina nel Van Marle che fonde i due dipinti con l’Incoronazione, identificando l’originale, che era allora conservato nella collezione Heugel, con la copia di Vienna: “The panel of the Coronation of the Virgin once in the Heugel collection, now in the Art Academy, Vienna” (su tutta la questione si veda L. Grassi, 1953, pp. 22, 60-61, 67-68). Il San Francesco originale era ancora presso Gustavo Fornari a Roma nel 1927. Tornò quindi a Fabriano presso un Istituto Bancario ed entrò a far parte, nel dopoguerra, della raccolta Carminati di Crenna di Gallarate, con altre opere della collezione Fornari. Nel 1978 fu acquistato da Luigi Magnani che, già aveva creato la Fondazione Magnani Rocca.
Fu il Cavalcaselle per primo a considerare i due dipinti come elementi di uno stendardo: l’Incoronazione “was in former times the front of a standard, on the obverse of which a S. Francis receiving the stigmata, of the same size and form, was depicted”. Ma la ricostruzione del grande critico (che di fronte alla copia del San Francesco non mancava di avvertire comunque: “Related as to style with the Coronation, though of ruder aspect, it may be of a later date and by some pupil”) tiene conto probabilmente dell’indicazione del Passavant, che peraltro parla di un “San Francesco che riceve le stimmate, colorito sul rovescio della tela”: tela e non tavola, che è da intendere più probabilmente come un’unica tela dipinta da entrambe le parti. Nessuna fonte antica ci testimonia l’originaria composizione dei due elementi, che lo stesso Liberati non ricorda uniti e che comunque dovette arbitrariamente essere compiuta in tempi relativamente recenti, se è vero che le misure del San Francesco, corrispondono al supporto originario, mentre quelle dell’Incoronazione sono ottenute con resecazioni della tavola in alto e ai lati. Un adattamento successivo di due elementi, dunque, non nati insieme e il cui rapporto non sembra neppure trovare giustificazione sul piano iconografico.
Il San Francesco fu pubblicato, la prima volta, dal Colasanti nel 1907, come testimonianza “di un tempo assai vicino al polittico di Valle Romita”. Lo stesso studioso, poco dopo (1909), pubblicò, nella sua monografia sull’artista, un’altra versione del San Francesco stigmatizzato sempre nella raccolta Fornari di Fabriano e da lui attribuita a Giovanni di Paolo. Un’ulteriore replica, dunque, anche se il Grassi ritiene più opportuno pensare senza sufficienti argomenti, che si tratti del rovescio della copia citata in casa Bufera, di cui si sono perse le tracce (tra l’altro non sembra recare la data letta da Cavalcaselle). Il Longhi, per parte sua, propose che l’Incoronazione Heugel, ora al Getty Museum, fosse il centro di un polittico smembrato del tipo di quello di Valle Romita, di cui uno scomparto laterale poteva essere il San Michele della raccolta Stoclet, da lui reso noto (sulla questione si veda Micheletti, 1976, p.88). Anche sulla datazione del San Francesco sono state fatte le proposte più disparate. Per il Colasanti, il Molajoli, il Serra, il Grassi, il Van Marle e la Castelfranchi Vegas, il San Francesco va posto agli inizi del secolo e precede l’Incoronazione. Per il Boskovits non sta entro il primo decennio, ma nella prima metà degli anni Dieci del Quattrocento. Per il Venturi forse tra il 1420 e il 1421, in un momento “comunque anteriore al periodo in cui l’artista si svolse in Toscana”. Per il Bellosi il San Francesco è “una versione assai più matura e intensa dello stesso soggetto che si vedeva nel polittico di Valle Romita … probabilmente in vicinanza del soggiorno bresciano, che cade tra il 1414 e il 1419, perché certe notazioni di densità, di materia fanno già pensare al Foppa, noto appunto nella città lombarda”. La Micheletti sembra seguire il Grassi nel pensare che il dipinto preceda la partenza di Gentile per Venezia “non prima o non molto dopo il 1405”. Sul fronte opposto è il Christiansen che non vede divergenze stilistiche tra il San Francesco e l’Incoronazione e che se mai sente leggermente più tardo il San Francesco. Per lui le differenze sono dovute “to the contrasting nature of the subject-matter … and … to the intervention of an assistant in the Coronation”. Per lo studioso l’opera cade sul 1420; egli inoltre suggerisce che “the iconography of Christ simultaneously blessing and crowning the seated Vergin, however, is extremely rare outside Florence. This fact, as well as relations of style to Jacopo di Cione’s altar-piece at the National Gallery, London, points to its execution in Florence, where Gentile is securely documented in the autumn of 1420”. Christiansen concorda con il Grassi nel ritenere che la parte superiore dell’Incoronazione fosse costituita da un busto del Padre Eterno, ma nega che la tavola sia stata privata di una parte del suo sviluppo, non risultando perdite del colore, e propone che in origine, con il San Francesco sul retro, appartenesse al tipo da lui esemplificato con uno stendardo processionale attribuito a Francesco di Gentile da Fabriano: sopra i due pannelli vi sarebbe stata cioè una cuspide col Padre Eterno. In realtà il San Francesco è un’opera chiave nel percorso di Gentile e va certamente avanzata rispetto all’orientamento più frequente, non forse fino al 1420 del Christiansen, ma, in accordo col Boskovits, verso il 1415, dopo il polittico di Valle Romita, di più radicale irrealismo, con anticipazioni delle morbidezze negli incarnati e perfino nei panneggi che culmineranno nell’Adorazione degli Uffizi. Una piena acquisizione del reale in quest’episodio di mitologia cristiana si ha non nella concezione dello spazio, di dimensione ancora medioevale, e neppure nel naturalismo della vegetazione in cui riconosciamo il leccio con le ghiande, il miosotis, i trifogli, ma in quella sorprendente apparizione dell’ombra del corpo del frate sull’erba, che distingue il dipinto di Gentile dal prototipo iconografico ancora giottesco (si ricordi il Taddeo Gaddi del Fogg Art Museum di Cambridge).
Di questa nuova situazione mentale ha dato forse la più limpida lettura il Bellosi: “Il naturalismo analitico che ormai conosciamo si indugia a ricostruire un affresco duecentesco con Annunciazione sulla facciata della cappellina; ma si raddensa per l’invenzione tutta nuova e luministica del Crocefísso-serafino che manda raggi di luce materiata, ne bagna il fianco roccioso del monte, fa più intensa l’oscurità dietro il santo sugli arbusti che diventano come brumosi, e al di qua del fraticello seduto sull’erba getta una sagoma d’ombra nitidissima, che per essere forse il primo effetto di tal genere nella storia della nostra pittura, non finisce di meravigliarci come le anime del Purgatorio nel vedere ‘il lume che era rotto’ dietro la figura di Dante. Un anticipo puntuale degli straordinari effetti luministici che si vedono nelle miniature francesi assai più tarde del Livre du Coeur d’amour épris. E come la faccia crepuscolare e notturna di quel naturalismo gotico di cui i fratelli Limbourg erano gli interpreti più squisiti, ma offrendone una versione limpida e mattinale”.