H come Harem l'Alfabeto di Massimo Campigli

 Massimo Campiglii, Donne in metrò (1951,1952).
Massimo Campiglii, Donne in metrò (1951,1952).

Vocabolo di antica ascendenza turca da sempre presente nell’immaginario collettivo del maschio occidentale, teoricamente monogamo, capace di evocare languide atmosfere orientali e di far sognare anche al cosiddetto normal man di essere signore e padrone di schiere di donne bellissime prone a ogni suo desiderio.

Campigli nasce e trascorre la primissima infanzia in un microcosmo in cui la figura maschile è assente e quelle femminili si scambiano i ruoli-la mamma è in realtà la nonna,la giovanissima zia è la vera madre. A soli otto anni il piccolo Campigli ha già elaborato una sua, precoce ma personale e precisa fantasia di harem.Ne darà una esatta trasposizione in immagini a quarantasette,nel 1942 quando pubblica il libro d’artista Il Milione di Marco Polo. Le litografie in esso contenute illustrano l’infantile elucubrazione. Il palazzo ha una curiosa struttura: al centro un’alcova dalle pareti traforate permette al sultano-pittore che giace in compagnia della favorita di vedere quello che succede nelle altre stanze disposte a semicerchio su più livelli piene di donne intente a rituali squisitamente femminili. Sul frontespizio il Gran Can in trono è l’autoritratto di Massimo Campigli, autoironico nei confronti della propria ossessione,il suo “tic” come lo definisce lui stesso: le donne.

testo di Maria Cecilia Alberici