I tre “Prometeo”, per la prima volta riunite le tre versioni dell’eroe che rubò il fuoco agli Dei

Un evento unico nel suo genere: per la prima volta il “Prometeo” di Arnold Böcklin è accostato alle versioni di Giorgio de Chirico e Alberto Savinio. Tre opere enigmatiche, conturbanti, straordinarie per la prima volta esposte insieme. Succede alla Villa dei Capolavori fino al 9 maggio.

Un Titano-eroe, amico degli uomini e portatore di progresso, che ruba il fuoco agli dei e per questo subisce la terribile punizione di Zeus. Prometeo è da sempre il simbolo di ribellione e di sfida alle autorità e alle imposizioni, ma anche metafora del pensiero, di un sapere sciolto dai vincoli della falsificazione e dell’ideologia.

Per la prima volta il “Prometeo” De Chirico e quello del fratello Alberto Savinio si trovano al cospetto del capolavoro del loro maestro Arnold Böcklin. Un’occasione irripetibile di osservare le tre opere insieme. Succede alla Fondazione Magnani Rocca fino al 9 maggio.

Sono diversi gli artisti che nei secoli si sono confrontati con il mito di Prometeo – da Rubens a Mattia Preti, fino alla versione déco in bronzo dorato di Paul Manship, simbolo del Rockefeller Center di New York – la più celebre è però quella del grande pittore simbolista Arnold Böcklin. Questo capolavoro, il grande Prometheus del 1882, appartenente alla Collezione Barilla di Arte Moderna, viene eccezionalmente esposto al pubblico fino al 9 maggio alla Fondazione Magnani-Rocca nel corso della mostra “De Chirico e Savinio. Una mitologia moderna”. Qui trova per la prima volta dialogo con le due versioni del Prometeo di Giorgio de Chirico e del fratello Alberto Savinio, i Dioscuri dell’arte, di cui il Prometheus di Böcklin rappresenta l’imprescindibile modello.

Il Prometheus di Böcklin

Arnold Böcklin, Prometheus, 1882. Collezione Barilla di Arte Moderna

Fin dal primo sguardo si coglie un cupo paesaggio di tempesta: onde di un blu profondo si infrangono con violenza contro una ripida scogliera, coperta di una fitta vegetazione, mentre il cielo denso di nubi è squarciato da un fulmine. Solo dopo un’attenta osservazione si riconosce la pur gigantesca sagoma del corpo del Titano, incatenato alla montagna e soggetto alla furia del cielo. Il protagonista della scena non è più l’eroe ribelle, ma la drammatica lotta, impari e senza speranza, dell’uomo contro le forze misteriose e oscure sprigionate dalla natura, che appare demonicamente animata. La figura di Prometeo, la cui consistenza materica sembra assorbita dalla roccia e dalle nuvole, così inerte ed esposta, ci comunica un senso di eroica impotenza e di rassegnazione.

Böcklin è uno dei grandi uomini del nord che sognano le rive mediterranee dove è nata la classicità ellenistica, le pianure abitate dagli dei. Il Prometheus nasce durante un suo soggiorno a Firenze nello stesso periodo in cui il pittore dà alla luce le cinque versioni dell’Isola dei morti, la sua opera più celebre. In queste opere appare evidente che la musa di Böcklin è la malinconia: la strada del mito porta in lui al dramma, al commercio con la morte. Non è classico, Böcklin: la nostalgia del classicismo greco, e quindi il desiderio del suo recupero, sono manifestazioni di spirito romantico.

“Nel suo Prometeo [Böcklin] interpretò meravigliosamente quell’aspetto della divinità gigante scesa ad abitare la terra, aspetto di cui la prima idea gli venne forse vedendo il quadro di Poussin intitolato Paesaggio siciliano, che trovasi ora al museo di Pietroburgo, e ove si vede in fondo, dietro una valle abitata da ninfe, sopra una roccia alta, il dorso gigantesco di Polifemo che suona la zampogna”. – Giorgio De Chirico

Il Prometeo di De Chirico

Giorgio de Chirico, Prometeo, 1909, Collezione Paolo Volponi

Giorgio De Chirico era un grande ammiratore di Böcklin e il suo Prometeo del 1909 è sicuramente ispirato dal pittore svizzero. E’ la prima opera di De Chirico in cui il mito si cela tra gli elementi del paesaggio naturale. Il pittore inserisce nella roccia la gigantesca sagoma del Titano.

“Il quadro Prometeo vede un’alta roccia coronata dalla tragica figura mitica (come in un quadro famoso di Böcklin) che si scorge a un’attenta analisi dell’immagine” scriveva il critico Maurizio Fagiolo dell’Arco

Il Prometeo di Alberto Savinio

Alberto Savinio, Prometeo, 1929, Collezione privata Courtesy Galleria Tega

Anche per Alberto Savinio, Böcklin rappresenta un modello primario. La sua serie sulle città trasparenti, ammassi di rovine galleggianti su una sorta di isola flottante, evocano nell’impatto iconografico la citata serie dell’Isola dei morti dell’artista svizzero. Nel suo Prometeo del 1929, Savinio propone tuttavia una visione diversa da quelle di Böcklin e de Chirico, operando una trasformazione ironica dell’impacciato nudo fotografico ottocentesco che gli era servito come modello, in una figura di dimensione mitica, benché quasi acefala.

Sono gli anni in cui primeggiano nella pittura di Savinio i corpi giganteschi di eroi dell’antichità pagana, anomale creature che animano una nuova e straordinaria iconografia di rivisitazione mitica, in ardite torsioni di stampo manierista che rendono improbabile ogni richiamo alla classicità anche se nella loro nudità grecizzante. Il Prometeo di Savinio volge malinconicamente la minuta testa a forma di uovo verso il cielo dove spicca, come l’epifania di un sogno irrealizzato, la fiaccola prima donata e poi negata agli uomini coi colori e le forme dei giochi agognati nell’infanzia. Il Prometeo di Savinio è l’alter ego dell’artista solitario, sacerdote e mago: un veggente.

Il Prometheus simbolista di Bocklin e le due interpretazioni del mito di Prometeo dei fratelli De Chirico sono esposte per la prima volta insieme solo fino al 9 maggio alla Fondazione Magnani-Rocca