Nel 1948 a Bologna la “Prima mostra nazionale d’arte contemporanea” suscita scandalo e apre un aspro dibattito sulle pagine dei giornali. Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano su Rinascita parla di “cose mostruose, scarabocchi”.
Togliatti non riesce a capire come proprio a Bologna, la città della cultura, si siano potute trovare “tante brave persone disposte ad avallare con la loro autorità davanti al pubblico questa esposizione di orrori e scemenze come un avvenimento artistico”. La notizia è ancora più sconvolgente se si pensa che la maggior parte degli artisti presenti in mostra militavano nel P.C.I.
Comizio di Giulio Turcato è una dei dipinti principali di quella famigerata esposizione. Il tema dell’opera insieme con quello delle Rovine di Varsavia, tenne impegnato l’artista per molto tempo. La versione presente a “Roma 900” è sicuramente la più compiuta della serie, quella alla quale perfino Guttuso renderà omaggio nel 1972, con I funerali di Togliatti.
In questa opera Turcato risolve una delle più frequenti espressioni popolari e sociali di quegli anni come una grande questione simbolica. La forma triangolare delle bandiere e il loro svettare fino agli estremi lembi della superficie della tela, così come gli striscioni bianchi che vi si frappongono orizzontalmente e le linee curve e ondeggianti, che lasciano intendere la presenza di migliaia di persone, non alludono affatto a un dinamismo di derivazione futurista, a un movimento della folla inneggiante con i propri vessilli. Al contrario le bandiere, alte e sovrastanti, sembrano ferme e piatte. Verticali si contrappongono all’orizzontalità della folla e della tela, mantenendone ben salda la bidimensionalità.
Il dipinto è lontano da qualsiasi visione prospettica, classica o quella aerea, a volo d’uccello. Si pone invece come un assoluto frammento ideale, puro di forma e di astrazione, capolavoro maturo di un artista ancor giovane. Turcato in Comizio dimostra anche una particolare adesione all’idea di simbolo, non già in quanto simbolismo, ma come iconologia riscontrabile nelle sue opere durante i successivi anni di attività, quando, con il definitivo abbandono della figurazione, troverà nelle essenze cromatiche quella ulteriore dimensione spazio-temporale, che muterà radicalmente la sua pittura.
In netto contrasto con l’amico/rivale Guttuso che si muove sempre di più verso una poetica sociale nel modo e di una raffigurazione comprensibile ai più, che funga anche come esortazione civile. Turcato ripensa la forma, esautora la figura e si muove all’interno di un cromatismo che da se stesso genera l’impianto costruttivo dei dipinti. Da questa piena libertà compositiva dà origine a una nuova pittura e a nuovi capitoli dell’astrazione.
[blue_box]La grande mostra Roma 900 De Chirico, Guttuso, Capogrossi, Balla, Casorati, Sironi, Carrà, Mafai, Scipione e gli altri nelle Collezioni della Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale ti aspetta alla Villa dei Capolavori della Fondazione Magnani Rocca dal 21 marzo al 5 luglio 2015.[/blue_box]