Luce e colore non sono solo ciò che appaiono agli occhi. Tra le invenzioni più geniali di Bruno Munari, il polarizzatore riveste un ruolo speciale, invitandoci a guardare oltre la superficie e ad avventurarci in un mondo di cromie cangianti e forme caleidoscopiche.

Negli anni ‘30 l’azienda americana Polaroid brevetta un materiale che ha la capacità di filtrare alcune componenti dello spettro luminoso in base al grado di incidenza della luce, può essere usato in laboratorio, in fotografia, nella produzione di lenti da vista. 

Munari studia a fondo questo nuovo materiale per capire le sue proprietà e svelarne le possibilità creative. Inventa così un visore speciale, che attraverso il movimento (della mano che tiene un filtro o di una macchina che lo ruota automaticamente) rivela allo spettatore composizioni astratte e micro-sculture completamente nuove.

Il “Polariscopio” è un’opera che non si limita ad essere osservata, ma che chiede la nostra interazione. La luce polarizzata diventa strumento di ricerca e di sperimentazione, un modo per sfidare i confini tra arte e scienza, tra percezione e realtà.

«La pittura può anche sparire purché resti l’arte» dice Munari sull’Almanacco Letterario Bompiani 1961.

Questo strumento ha permesso a Munari di esplorare le possibilità creative della luce e della percezione visiva, creando opere d’arte dinamiche e affascinanti. L’opera d’arte non è più solo un oggetto da ammirare e contemplare, ma diventa un esperimento attivo che coinvolge direttamente l’osservatore.

Come un mago che rivela i suoi trucchi, Munari ci mostra come la luce, filtrata attraverso lenti speciali, possa svelare un caleidoscopio di colori e forme sempre nuove. È un invito a giocare con la percezione, a mettere in discussione le nostre convinzioni e ad aprirci a nuove possibilità di visione.