Nel 1909 Leonor Fini è ancora una bambina e vive in Argentina quando la madre decide improvvisamente di scappare in Italia per allontanarla dal padre, un uomo violento e autoritario.

Leonor cresce con la paura di essere rintracciata e impara a travestirsi, a camuffarsi. È un’abitudine che non abbandonerà mai, per tutta la vita si maschererà da gatto, da angelo, da sacerdotessa, si dipingerà come sfinge e come strega confondendo meravigliosamente la sua vita con la sua Arte.

Nella metà degli anni ‘60 la Fini insieme al compagno, l’artista surrealista Stanislao Lepri, affitteranno per le vacanze il monastero abbandonato di Nonza, in Corsica dove organizzeranno feste in maschera oggi diventate leggendarie.

Anche Lepri è affascinato dal tema del travestimento come dimostra l’opera “Autoritratto” del 1945 in cui si raffigura come un Arlecchino con tanto di mascherina nera.

La maschera, così come il doppio, è tema fondamentale nell’esplorazione dell’identità, dell’inconscio e delle convenzioni sociali. È un simbolo della verità nascosta dietro le apparenze che invita  il pubblico a riflettere su ciò che è autentico e su ciò che è costruito. Permette una profonda introspezione e offre una critica alla realtà, è un simbolo potente nella ricerca di libertà espressiva e autentica.

I surrealisti inoltre sono fortemente anticolonialisti e la maschera diventa per loro un punto di congiunzione con l’Arte africana, sono tra i primi a collezionarla e studiarla.