C’è una Z fatta con un nastro di tessuto, una L di rame, una S disegnata a pennello sul vetro di una finestra. C’è una V fatta con il tubo di gomma di un compressore e persino una P di canne di bambù piegate e legate insieme.
Facciamo un passo indietro. Nel 1960 il proprietario della stamperia Lucini di Milano chiede a Bruno Munari un progetto di allestimento per la festa dei 60 anni dell’azienda. Ma per vari motivi la festa non si farà.

Il progetto dell’alfabeto rimane nel cassetto fino al 1986 quando, in occasione della mostra al Palazzo Reale di Milano, Munari chiede all’architetto suo collaboratore Marco Ferreri di realizzare finalmente l’Alfabeto Lucini utilizzando oggetti e materiali di uso comune.
L’ALFABETO è uno dei progetti che meglio racconta il pensiero di Munari, capace di trasformare la monotonia in libertà.
L’alfabeto sulla carta di un libro è uno sterile elenco, ma se lo costruisco con oggetti del mondo reale avviene una magia: non riuscirò più a guardare il mondo intorno senza vedere una M in un nastro, una F in un foglio di carta piegato, una C nella sezione di una putrella di acciaio.
Munari fa al suo pubblico il regalo più grande: la possibilità di tornare a guardare la realtà con uno sguardo completamente nuovo e libero.