Un giovanissimo Massimo Campigli nello studio di rue Alesia a Parigi.

Poco più di mille e Novecento sono i chilometri percorsi da Massimo Campigli, in un lungo peregrinare prevalentemente a piedi, in fuga da un campo di detenzione a nord di Vienna fino a Mosca.

Da qui altrettanti ne compie per giungere a Murmansk (non lontano dal confine della Russia con la Norvegia e la Finlandia) da dove riesce a raggiungere Londra su una nave inglese. L’obbiettivo è ottenere la cittadinanza italiana, che gli viene concessa in quanto volontario dell’esercito italiano nel corso della prima guerra mondiale.

Il cammino del giovane Max, di origini berlinesi e cresciuto a Settignano, prosegue più lieve a Parigi, città fulcro della produzione artistica mondiale negli anni venti del Novecento. La Ville Lumière gli indica la strada del giornalismo e delle traduzioni dal tedesco, ma senza falsi pudori Massimo ammette la propria convinzione di poter in breve tempo tracciare la via come artista, similmente a coloro che ogni giorno incontra al Café du Dôme. Supera questo traguardo supportato dai molti che ne riconoscono il talento, come Margherita Sarfatti che dall’Italia lo inserisce nel suo Gruppo Novecento, movimento artistico che sceglie come nome quello di un secolo la cui storia sarà scritta anche dal raffinato gusto per l’antico di Massimo Campigli.