Perché la natura morta è ancora (terribilmente) POP

Il gigantesco Hot Dog di Roy Lichtenstein che campeggia in questi giorni nelle sale della Fondazione Magnani-Rocca può essere considerato a tutti gli effetti una natura morta moderna. Quello della natura morta è un tema che ricorre in modo quasi ossessivo in tutta la Storia dell’Arte e ha assunto nei secoli significati molto diversi. Gli artisti della Pop Art americana recuperano la natura morta in una chiave sorprendente e completamente nuova.

Il tema della natura morta è una costante di tutta la Storia dell’Arte e compare già tra le prime creazioni artistiche dell’uomo. Questo particolare soggetto pittorico, che vede come protagonisti la riproduzione di composizioni di fiori, animali, frutti oppure oggetti inanimati come bottiglie e strumenti musicali, si è evoluta nei secoli mantenendo inalterata la propria carica espressiva.

Andy Warhol, Flowers, 1970 Collezione privata. Courtesy Sonnabend Gallery, New York © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts Inc., by SIAE 2018.
Esposto in occasione della mostra Lichtenstein e la POP Art americana alla Fondazione Magnani-Rocca.

Da Caravaggio a Giorgio Morandi, numerosi artisti si sono cimentati nella natura morta proponendone reinterpretazioni stilistiche e nuove cariche interpretative.

La natura morta, un dono per gli ospiti

Nell’antichità la natura morta nasceva dalla volontà di semplice riproduzione della materia inanimata a scopi decorativi, come si può ammirare nei mosaici greci e romani di cui erano piene le ville signorili.

Gatto che afferra una quaglia, e natura morta. Pompei, Casa del Fauno, 100 a.C. circa

Qui si osservano gli archetipi di questa tradizione pittorica: le “xenia”, affreschi murali con rappresentazioni di cibi freschi che rappresentavano i “doni ospitali” per gli ospiti, e gli “asarotos oikos”, mosaici pavimentali di resti di banchetti.

La Vanitas e il memento mori

L’iconografia della natura morta rimane praticamente inalterata per tutta la classicità fino ai primi del Quattrocento quando compare l’idea di Vanitas. Le composizioni di oggetti e fiori morenti servono in questo senso ad un’esaltazione della caducità della vita per far riflettere gli spettatori sulla fragilità dell’esistenza umana e indurli a concentrarsi sulla prossima vita ultraterrena.

Natura morta con teschio, Philippe de Champaigne, 1671

Già nel Seicento si ha un’evoluzione del tema della Vanitas che questa volta è esaltazione della vita presente prima che sopraggiunga la morte.Ecco allora che le nature morte si popolano di elementi macabri: teschi, polvere, animali grotteschi che sovraccaricano le immagini di continui riferimenti al “memento mori” (letteralmente “ricorda che devi morire”). Sono molto comuni le composizioni di clessidre e ossa.

Paul Cézanne Natura morta con ciliegie, (1890). Esposto nella Collezione permanente della Fondazione Magnani-Rocca

In tempi più moderni la natura morta diventa un tema secondario mentre le mode privilegiano altri soggetti come il paesaggio o il ritratto. Sarà il periodo post-impressionista ad attuare un primo revival della natura morta e in particolare Cézanne che partirà proprio dallo studio delle forme attraverso la natura morta per rivoluzionare la propria pittura.

Con la pittura post-impressionista si avvia una nuova età dell’oro della natura morta. Nella natura morta gli amanti dell’arte possono in qualche modo cogliere un’esemplificazione dello stile dei diversi artisti, trattandosi di composizioni più semplici rispetto ai paesaggi. Ne sono esempi di notevole pregio le nature morte di Renoir come il capolavoro “Les poisson” (esposto nella Collezione permanente della Fondazione Magnani-Rocca) la cui composizione relativamente semplice esalta lo studio delle pennellate impressioniste.

Le natura morte di Giorgio Morandi

Dal cubismo al neo-realismo, dalla metafisica alla Pop art, nel Novecento la natura morta segue nuove vie. In alcuni casi la composizione degli oggetti si libera delle pesanti espressione materiche, mentre in altri -ad esempio nelle scomposizioni cubiste- scompare quasi completamente dalla tela. Ritroverà le proprie radici in uno dei maggiori artisti italiani del Novecento, Giorgio Morandi.

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Morandi classica natura morta

Un post condiviso da Paolo Sermenghi (@paolosermenghi) in data:

Sarà lui che ridonerà ordine ad una natura morta ormai deviata dalle matrici stilistiche delle Avanguardie, e con la sua visione malinconica ne farà la tematica principale delle sue opere, facendo delle bottiglie il suo mondo irreale e proiettando su di esse vite immaginarie che interagiscono tra loro in una sorta di dialogo solitario ed intimo. Morandi gioca su una serialità alterata dal tempo e dalla luce, trasformando le sue bottiglie in composizioni di incantevole ricercatezza.

Natura morta POP

Sarà la Pop art all’inizio degli anni ‘60 a sancire il ritorno definitivo della natura morta nell’iconografia contemporanea. È la Pop art a riscoprire la natura morta in una chiave completamente nuova, attraverso l’esaltazione dell’oggetto comune, rivisitato da Warhol e da Lichtenstein in particolare, con nuove tecniche ed approcci impensabili fino a quel momento. 

Tom Wesselmann (1931-2004) – One Cent Life. 
Esposto in occasione della mostra Lichtenstein e la POP Art americana alla Fondazione Magnani-Rocca.

Gli artisti della Pop Art rielaborano il concetto di natura morta attraverso l’immaginario della cultura di massa. I prodotti commerciali diventano i nuovi bersagli di questa indagine critica verso la società dei consumi. A soggetti classici come i fiori, i teschi (Flowers 1970 e Skull 1976 di Andy Warhol) e i pesci (Blue Fish, 1973 – Lichtenstein) si affiancano allora nuovi simboli della modernità e della produzione in serie come il barattolo di minestra, la scatola di detersivo o, nel caso di Lichtenstein, il cibo dei fast food.

Autore: Edoardo Scita 
 Studio “Comunicazione e media contemporanei per le industrie creative” presso l’Università di Parma; sono appassionato di arte e videogame, grande lettore e creativo in erba

Le splendide nature morte di Lichtenstein, Warhol, Wesselmann colorano le sale della mostra “LICHTENSTEIN e la POP Art americana” alla Villa dei Capolavori.