Saggio sul capolavoro di Pierre-Auguste Renoir conservato nella Collezione permanente della Fondazione Magnani Rocca.
L‘opera appartiene al periodo avanzato del’attività di Renoir, il più convinto e spontaneo interprete dell’Impressionismo, condotta per lo più a Cagnes, dove il maestro, sofferente di una grave malattia reumatica si era trasferito nel 1903. Superata la fase critica di scissione stilistica degli anni Ottanta proprio grazie al lavoro en plein air sul paesaggio, Renoir affronta con immutato entusiasmo una nuova stagione artistica, caratterizzata da una più evidente istanza rispetto alla resa naturalistica del motivo ispiratore, rilevata dall’intensità delle gamme cromatiche e dalla perdita delle linee dì contorno degli elementi raffigurati, dissolte nelle armonie colorate delle vibrazioni luministiche.
Come ha ben spiegato Lionello Venturi “De plus en plus la présentation d’un monde fantastique l’emporte sur celle de la réalité, de plus en plus ce sont les développements autonomes du peintre où se concentre son enthousiasme lyrique pour la lumière et pour la vie”: La velocità nel tratto, ripetuto, sovrapposto, quasi arruffato per raffigurare la rigogliosa vegetazione della costa, ben corrisponde alla sintesi, all’energia dell’artista che segue adesso senza remore una libertà interiore di visione e di esecuzione che ha pochi confronti tra i suoi contemporanei. Forse a Cézanne, al suo alto sentire e alla sua piena consapevolezza dell’autonomia della visione artistica, si deve questa rinnovata coscienza della possibilità di uno sviluppo della pittura in senso ideale ed emotivo, svincolata dai limiti della immediata riconoscibilità delle sue componenti secondo la già tradizionale poetica naturalista. E se Cézanne procedeva riconducendo dopo lunga osservazione alle forme elementari soggiacenti suoi oggetti, attingendo un livello di straordinaria intensità espressiva, Renoir doveva raggiungerlo seguendo la sua vitalissima ispirazione, quell’impulso istantaneo eppure durevole che lo portava a fondere nell’opera quanto vedeva, trasfigurato per l’emozione.
Questa nuova maniera “corsiva”, secondo le parole prive di intenti riduttivi del critico, che era “il risultato di una maniera costante di sentire”, corrispondeva agli accordi cromatici risentiti armonizzati dalla luce, interiore e naturale a un tempo, che assicura all’opera la sua unitarietà, fondata sulla nota squisitamente originale impostata dall’artista. L’ultimo stile di Renoir, concludeva ancora Venturi, non era la sintesi delle maniere anteriori: n’a pas regardé, derrière son glorieux passé. Mais, profitant de toutes ses expéfiences, il s’est jeté à corps perdu vers un style nuveau qui, par son autonomie, par sa hardiesse formelle e chromatique, était une porte ouverte sur l’avenir”.