Perché una mostra su Massimo Campigli. Il curatore racconta

Stefano Roffi, curatore di ‘Campigli. Il Novecento antico’, spiega il perché della mostra.

Massimo Campigli è il grande dimenticato dell’arte italiana del Novecento; nonostante sia presente nei principali musei del mondo, adorato dai collezionisti in particolare americani e inglesi, raffinatissimo nei suoi lavori grafici, arcano ed elegante in pittura. Ha certamente pagato il suo interesse quasi maniacale per le donne, che ha rappresentato in un modo che a partire dai primi anni settanta non trovava sintonia nella presunta intellighenzia dominante, improntata a un femminismo manierato e un po’ ottuso; il pittore che dava forma a figure femminili squisite ornate di gioielli degni di grandi regine, abiti di pizzi e acconciature ispirate a Cleopatra non poteva che risultare simbolo di un mondo da dimenticare, meglio bruciare reggiseni e propagandare una malintesa forma di autonomia della donna dall’uomo, scegliere altre icone, a negare secoli di donne divinizzate ed eternate attraverso l’arte. Campigli risultò vecchio, antico nel senso di superato, quasi esecrabile; un sultano sadico che imprigionava le sue donne nei ceppi di una pittura anti-moderna.

Stefano Roffi, curatore della mostra su Massimo Campigli

Ho pensato che fosse giusto riportarlo al posto che gli spetta, quello di uno dei massimi esponenti dell’arte italiana del Novecento, un anno dopo la mostra su Delvaux, col quale può essere individuato un dialogo a distanza fra artisti, nella comune scelta che Campigli e il grande pittore belga fecero della figura femminile, presenza ossessiva, come protagonista delle proprie opere e nella sublimazione in pittura di un trauma psicologico altrimenti irrisolto.

La grande varietà dei soggetti trattati in pittura da Campigli era stata finora penalizzata da una presentazione banalmente cronologica e antologica che non valorizzava l’interesse dell’artista per tematiche specifiche, sviluppate nel corso della sua carriera con tecniche e riferimenti culturali via via diversi. La mostra della Fondazione Magnani Rocca è in questo senso innovativa, come ha riconosciuto il Corriere della Sera nella recensione alla mostra, con una “rilettura” delle opere di Campigli non condizionata dagli studi precedenti, che ha invece cercato di evidenziare e valorizzare la complessità dei suoi interessi.

La stupenda ritrattistica, con le effigi di personalità del mondo della cultura, ma anche amici, signore belle e famose; la città delle donne, che accosta opere che rivelano l’ossessione per un mondo che pare ginocentrico; le figure in sé prive di identità ma caratterizzate da scene di spettacolo, lavoro, gioco, che Campigli osserva memore del passato di reporter; i dialoghi muti, coppie vicine spazialmente ma incapaci di comunicare, prigioniere del proprio mistero; gli idoli, presentati nell’evoluzione dalle figure idolatriche tratte da Carrà negli anni venti a quelle di ispirazione primitiva che compaiono a partire dagli anni cinquanta, passando per immagini quasi votive. Un mondo d’artista ricchissimo, non più costretto in gabbie critiche superate.

Il Ritratto di Olga Capogrossi – realizzato da Campigli alla fine degli anni cinquanta quando la sua pittura stava risentendo della figurazione “segnica” di Giuseppe Capogrossi, padre di Olga – scelto come simbolo della mostra, rappresenta la perfetta sintesi fra il Novecento e l’antico, l’ossimoro apparente che fa da sottotitolo alla mostra. Olga è una sedicenne bellissima, gli occhi sono indimenticabili, ma il broncio appena accennato della bellissima bocca ricorda quello di Brigitte Bardot, celebrato sugli schermi proprio in quegli anni; il riferimento è quello della ritrattistica del Fayum, di quei volti che nell’Egitto dominato da Roma testimoniavano un’eternità inviolabile.

Antico e contemporaneo si incontrano e si fondono armoniosamente a creare una bellezza simbolo che va al di là del tempo, un ideale che si aggiunge ad altri volti dalle medesime caratteristiche di soavità atemporale; pensiamo alla celebrata Ragazza dall’orecchino di perla di Vermeer, alla Dama con l’ermellino di Leonardo o a Mademoiselle Rivère di Ingres. Olga è perfetta per lasciare al pubblico in pochi attimi l’immagine indelebile di un desiderio.