Una scheda critica di Vittorio Sgarbi dedicata al capolavoro Rembrandt Harmenszoon van Rjin, conservato nella collezione permanente della Fondazione Magnani Rocca.
Databile intorno al 1652, l’acquaforte porta un titolo che non risale oltre il XVIII secolo. Lo troviamo, infatti, nel catalogo di Edmé Francois Gersaint nel 1751; e Goethe dichiarerà di essere stato stimolato a rielaborare il mito di Faust proprio dalla visione dell’inci-sione di Rembrandt. In essa è rappresentato un uomo, nel caratteristico abito dello studioso-filosofo (soggetto numerose altre volte affrontato da Rembrandt), in un ambiente con carte, libri, mappamondo e, dietro una tenda, il teschio. Sembra essersi appena sollevato dal tavolo sul quale scriveva, appoggiandovi, nell’attimo della sospensione, la mano destra con la penna ancora fra le dita, per osservare un’improvvisa apparizione: un disco, con al centro le lettere INRI, circondato da due cerchi concentrici con la scritta + ADAM + TE + DAGERAM (all’interno); + AMRTET + ALGAR ALGASTINA + + (all’esterno).
Il disco con lettere sembra specchiarsi in un’altra forma circolare, che un corpo evanescente come un ectoplasma (prolungamento antropomorfico del disco che ne sostituisce la testa), meglio visibile nel primo stato, addita (e ne è nitidamente in luce la mano, come si vedeva nell’apparizione del Festino di Baltassar). L’anagramma inciso nel disco e le iniziali di Jesus Nazarenus Rex Judeorum sono state inter-pretate come un riferimento alla redenzione della ricerca della scienza nella fede cristiana, come si legge nel capitolo tredicesimo della prima lettera di San Paolo ai Corinzi.
Sull’interpretazione dell’episodio H. van de Waal ha fornito un apposito saggio, nel quale sono discusse le diverse e numerose ipotesi. A esso ci riferiamo, indicando che tali ipotesi si riducono a due gruppi principali: i sostenitori del titolo tradizionale e coloro che lo negano, osservando l’assenza di un elemento fondamentale: la tentazione del Demonio. Il personaggio, quindi, altro non sarebbe che un alchimista o un filosofo che osserva nel disco un sistema cabalistico. Per alcuni il filosofo olandese Fautriens; per altri, più genericamente “un Rosacroce”. In ogni caso non si può negare che la tavola abbia un esplicito significato cristiano, dal momento che, oltre all’INRI, le altre parole ripetono in diverse lingue il nome di Dio. Il de Waal accosta l’idea dell’acquaforte a una xilografia di Cranach nella Bibbia di Lutero, edita nel 1529 a Wittenberg.
Nell’incisione si vede Matteo, con i tratti di Lutero, che ha la visione di un angelo che regge uno specchio. L’analogia del tema potrebbe, per de Waal, indicare che l’acquaforte era destinata a una setta cristiana, probabilmente quella dei Sociniani, che negavano il mistero della Trinità e la predestinazione, e sostenevano i valori della ragione umana e di una conseguente interpreta-zione razionale della Bibbia. In questa concezione Cristo è un modello umano per l’uomo e non ha natura divina. I Sociniani prendono il nome da Fausto Socini (1539-1604), patrizio senese studioso di teologia, morto in Polonia dove aveva largamente diffuso le sue idee.
È immediato l’accostamento Fausto (Socini)-Faust: sarebbe quindi perfetto il parallelo con l’incisione di Cranach, dove il Matteo-Lutero ha l’ispirazione divina. In favore di questa ipotesi si può osservare che, alla morte del loro fondatore, numerosi Sociniani, perseguitati in Polonia, si erano rifugiati in Olanda, dove erano conosciuti come i “Fratelli polacchi” (De Poolse Broethers). Nonostante la tolleranza religiosa, le convinzioni dei Sociniani erano aspramente combattute dalla Chiesa Riformata olandese, che puntava all’eliminazione di ogni eresia. La campagna antisociniana era particolarmente vivace proprio negli anni in cui Rembrandt delineò la sua acquaforte. Per de Waal l’illustrazione era probabilmente destinata a una delle pubblicazioni clandestine curate dai Sociniani ad Amsterdam: a essi Rembrandt poteva avere dato la sua adesione per l’affinità delle teorie dei Sociniani con quelle dei Menonniti, cui l’artista era legato, senza dichiaratamente opporsi alla Chiesa ufficiale. Una prova di questa adesione e di questa simpatia intellettuale potrebbe essere che, contrariamente alla norma abituale, Rembrandt non ha firmato la lastra.
L’affascinante quesito contribuisce ad accrescere l’interesse di questa suggestiva invenzione, carica di attesa e di confiente speranza nei valori riflessi nel volto sereno e attento dello studioso. Nonostante l’analogia dell’episodio, Faust è l’antitipo di Baltassar che solleva e volge il capo dal lussurioso tavolo del festino e non da quello sobrio dello studio. La grande finestra luminosa, con l’accensione del disco radiante, è anche simbolicamente un richiamo all’illuminazione della ragione, un’allusione alla luce dell’intelligenza, contro le tentazioni dei sensi. L’apparizione quindi non è una folgorazione, ma la naturale maturazione di un processo di conoscenza, una visione laica, umana, razionale della Fede, come un manifesto del pensiero moderno, quello di Rembrandt, appunto, di Galileo e di Spinoza, per i quali, non meno che per Socini, “ordo et connectio rerum idem est ac ordo et connectio idearum”. E, come l’opera grandiosamente umanistica di Rembrandt dimostra, fino all’ultimo segno e all’ultima luce, deus natura. Nella tecnica incisoria di questa lastra le vaste zone a risparmio e il tratteggio, alternativamente a maglia larga e a maglia fittissima, sono in precisa funzione della definizione dello spazio della sua qualificazione luminosa, un dialogo ideale con l’atmosfera, gli interni di Vermeer.