Sorridente, un po’ dandy, col talento dell’intrattenitore tanto da saper trasmettere l’animo e l’energia vitale del celebre nonno, Joan Miró (Barcellona 1893 – Palma di Maiorca 1983). Lui, Joan Punyet Miró, Direttore della Successió Miró di Palma di Maiorca, ha coltivato la sua vena artistica come art performer e scrittore; due saggi puntuali e ricchi di testimonianze sono presenti nel catalogo (Silvana editoriale) della mostra in corso alla Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo dedicata a “Miró. Il colore dei sogni”.
E mentre si aggira nelle sale espositive della Villa dei Capolavori vien da pensare che in fondo a quel nonno conosciuto ed amato, somiglia, elegante come il pittore che pure quando era povero si riforniva di abiti e cappelli da amici, sarti e negozianti che ripagava con i suoi quadri.
Si sofferma a guardare le due opere che nell’ultima sala della mostra racchiudono la visione dell’arte che l’artista catalano ha sempre portato con sé, e ne diventa testimone diretto, con il suo italiano frammentato da parole in spagnolo.
<Queste opere parlano della dualità di Miró – dice – sono il giorno e la sera, il sole e la luna: il nero è la vita con cui crea tutta la costruzione volumetrica e poi, dove rimane il vuoto, comincia ad applicare il colore primario il rosso, il blu, il giallo, il verde. Qui c’è la notte con le stelle e poi i pianeti e a fianco il giorno con la forza del sole>.
Che ricordo ha di Joan Miró artista?
<Il mio nonno è stato l’immagine del colore, un uomo con una forza espressiva monumentale, una gioia capitale, una sensazione di forza spirituale introspettiva grazie alla magia del colore primo – e qui intende i colori di base della pittura – una forza vulcanica veramente esplosiva. Come nipote di Mirò quello che vedo nel mio cuore è la sua libertà e la sua generosità. La libertà perché è stato un artista che si è avvicinato al fauvismo, alla figurazione, all’astrazione, al surrealismo ma sempre in relazione alla poesia e alla musica; mai ripetitivo ma in costante metamorfosi. La generosità perché viene da un piccolo paese, da una famiglia piccola, c’eravamo il mio nonno, la mia nonna, la mia mamma, figlia unica, ma ha mostrato grande la generosità verso la Spagna, la Francia, l’Italia>.
La memoria va alle donazioni fatte all’Italia in primo luogo ad una scultura in bronzo donata nel 1973, che oggi possiamo ammirare in via Senato, davanti l’Archivio di Stato. Una figura imponente con testa d’uccello, ventre ampio e possenti zampe, un po’ buffa, un po’ grottesca e un po’ misteriosa, considerata un’anticipazione del movimento surrealista e del teatro dell’assurdo.
Una generosità che è il cuore del racconto di Joan Punyet Miró.
<L’idea di creare una Fondazione l’aveva avuta nel 1968 per garantire la possibilità di conoscere le tendenze dell’arte contemporanea, oltre a consentire che le sue opere fossero sempre a disposizione della gente. Era nata così la Fundació Joan Miró che si trova a Barcellona. Nel 1981 poi i nonni insieme, in accordo con il Comune di Palma di Maiorca, hanno deciso di costruire la Fondazione Pilar e Joan Mirò, inaugurata nel 1992, per rendere pubbliche le opere e per promuovere la diffusione dell’arte in generale>.
Questo è Mirò, uomo ed artista, ma non bisogna dimenticare che Joan Punyet Miró lo ha frequentato abbastanza, fino all’età di 15 anni.
Cosa ricorda di Mirò nonno?
<Era un nonno molto affettuoso e gentile>. Oggi quella casa – studio a Palma sull’isola di Maiorca, che il giovane Mirò conosce bene, è aperta al pubblico <Qui la presenza di mio nonno è palpabile, ci sono i pennelli, i dipinti, i colori ad olio ad acrilico; la sensazione è unica>.
Al di là dei ricordi lo sguardo torna, forse inevitabilmente, sulle opere esposte.
<Mio nonno è nato a Barcellona ed è morto a Maiorca ed ha passato molto tempo dove la luce è veramente importante. Posso fare un parallelismo con il fauvismo di Matisse, la pittura di Cézanne, il colore primario di van Gogh, artisti tutti alimentati dalla forza luminosa del Mediterraneo. Ecco come in quegli artisti in Miró, in queste opere, c’è tutta la luce dei posti dove ha vissuto>.
Joan Punyet Miró sembra voler trasmettere principalmente con le sue parole e il suo entusiasmo la poetica del nonno, il suo modo di affrontare le vie delle arti: pittura, musica, poesia. Quasi un nume tutelare di un grande artista. Così il racconto cade sugli inizi quando Miró scoprì la musica non ancora ventenne (1912-1915), mentre studiava all’accademia privata di Francesc Galí.
<Galí aveva un metodo di insegnamento decisamente poco ortodosso. Faceva maneggiare ai suoi studenti degli oggetti che poi nascondeva, e chiedeva loro di riprodurli basandosi sulla memoria tattile. Oltre a ciò, insisteva moltissimo sull’importanza di mescolare nella loro iconografia elementi poetici e musicali> inizia così nel suo saggio in catalogo l’approccio del nonno con la musica, prima di addentrarsi nei segreti di una vita d’artista.
Pubblicata nella Gazzetta di Parma del 14 novembre 2021
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