Le locandine dei film di Pier Paolo Pasolini

Negli anni in cui Pier Paolo Pasolini realizzò i suoi film, dal 1961 al 1975, la promozione pubblicitaria cinematografica era affidata soprattutto alle diverse tipologie di affissi cartacei (i manifesti, le locandine e le fotobuste). L’affissione infatti rivestiva un ruolo di essenziale importanza nella pubblicità dei film in uscita nelle sale perché, oltre alla Tv di stato, esistevano soltanto poche reti televisive e quindi erano proprio le affissioni urbane ed extraurbane, di varia grandezza e formati, a costituire il veicolo migliore per informare i potenziali spettatori. La realizzazione degli affissi veniva talvolta affidata a pittori di talento (poi sostituiti dai grafici, che invece utilizzavano le fotografie). La loro creatività veniva spesso condizionata dalle esigenze della produzione e della distribuzione che insistevano affinché venissero valorizzati quelli che ritenevano gli elementi di maggiore attrattiva del film.

In alcuni, rari casi – come quello di Federico Fellini – poteva essere l’autore del film a decidere l’impostazione delle affissioni o a scegliere la soluzione proposta dal pittore. Nel caso di Pasolini, è probabile che egli abbia avuto la facoltà di scegliere l’impostazione dei manifesti e degli affissi soltanto limitatamente ad alcuni titoli. Le locandine e gli altri materiali esposti in questa mostra, nell’eterogeneità degli stili e della grafica, dimostrano talvolta l’occasionalità delle strategie pubblicitarie che venivano studiate per “lanciare” i film del poeta-regista.

In realtà, per il suo esordio con Accattone nel 1961, Pasolini aveva addirittura beneficiato dell’apporto di pittori quali Corrado Cagli, Carlo Levi, Mino Maccari e Anna Salvatore, che avevano disegnato ognuno un manifesto originale per il film.

Il pittore “ufficiale” di Accattone fu Alessandro Simeoni, in arte Sandro Symeoni (1928-2008) che (in un manifesto e nella locandina) ritrae il protagonista, Vittorio Cataldi (interpretato da Franco Citti) in un denso, freddo cromatismo verde scuro che suggerisce una tonalità funebre aderente allo spirito del film. Lo stesso Symeoni disse di essersi concentrato, per questo disegno, “sulla fiera solitudine di un ragazzo di vita, spavaldo nella sua fragilità”.

Locandina del film Mamma Roma di Pier Paolo Pasolini

La locandina di Mamma Roma (1962), una composizione grafica di Gigi De Santis analoga al manifesto due fogli, mostra una fotografia emblematica: Mamma Roma che ride felice, stretta al figlio Ettore mentre questi guida la motocicletta che la madre gli ha appena regalato. È emblematica perché condensa il motivo dell’amore materno possessivo e nefasto che è al centro del film. Meno ispirata e probabilmente obbligata da esigenze pubblicitarie, è la locandina della seconda edizione di RoGoPaG (1963), ribattezzata Laviamoci il cervello dopo la condanna dell’episodio pasoliniano La ricotta per vilipendio della religione. In questo caso il grafico si è limitato a accostare i volti degli interpreti più famosi dei diversi episodi che compongono il film: Rosanna Schiaffino (Illibatezza di Roberto Rossellini), Ugo Tognazzi (Il pollo ruspante di Ugo Gregoretti), Alexandra Stewart (Il nuovo mondo di Jean-Luc Godard) e Orson Welles (La ricotta di Pasolini, di cui compare anche, sullo sfondo, la scena del tableau vivant della Deposizione di Pontormo).

Decisamente infelice la grafica ideata dallo Studio Ravalli per La rabbia (1963), dove Pasolini si è prestato malvolentieri a posare ieraticamente a sinistra, contrapponendosi a Giovannino Guareschi che si è collocato a destra (in realtà i due scrittori non si incontrarono e le fotografie vennero scattate in sedi separate e in momenti diversi) per rendere, anche plasticamente, la contrapposizione ideologica fra le due parti del film. Due parti che in realtà non hanno nulla in comune l’una con l’altra, dato che La rabbia pasoliniana è un poema civile e politico mentre quella dell’autore di Don Camillo è un rozzo tentativo di satira di costume e d’attualità filocolonialista e razzista. Il caso della Rabbia costituisce sicuramente il peggiore esempio di banalizzazione pubblicitaria subìta da un film di Pasolini e la responsabilità deve essere attribuita interamente al produttore, Gastone Ferranti, che scelse anche le fuorvianti e grevi “frasi” di lancio. Pasolini, vincolato da un contratto, non poté sottrarvisi ma non ripetè mai più lo stesso errore.

Locandina del film Medea di Pier Paolo Pasolini

Se i manifesti de Il Vangelo secondo Matteo (1964) sono disegni incentrati, ovviamente, sulla figura di Cristo, nelle fotobuste vennero scelte alcune fotografie di scena di Angelo Novi (1930-1997) e quella esposta in questa mostra rappresenta la danza di Salomé davanti a Erode, virata, come la maggior parte delle altre, in un cromatismo rosso, sotto cui scorrono, come cornice, altre immagini in bianco e nero.

Comizi d’amore (1964), realizzato prima del Vangelo ma uscito l’anno successivo, venne illustrato nella locandina e nel manifesto quattro fogli da un eccellente pittore di cinema, Otello Mauro Innocenti in arte Maro, che ritrae una coppia di giovani innamorati abbracciati (in tenuta estiva), un’immagine che però appare riduttiva rispetto alla ricchezza antropologica del film.

Un’invenzione fantastica di grande efficacia, anche se infedele al senso del film, è il disegno di Carlantonio Longi (1921-1980) per Uccellacci e uccellini (1966) che mostra Totò in gabbia, in balia di un gigantesco uccello rapace, con un intento umoristico che avrebbe dovuto “rassicurare” il pubblico del grande comico. Il disegno rappresenta una probabile eco dell’episodio tagliato dal film dove l’attore napoletano interpretava un domatore circense che finiva “ammaestrato” da un’aquila reale: un esempio del fatto che talvolta il corredo pubblicitario ha trattenuto delle immagini che si riferiscono a sequenze o a interi episodi eliminati dall’edizione definitiva del film. Infatti nel finale del film è al contrario Totò, nel ruolo del signor Innocenti, a divorare il corvo senza mai essere minacciato da nessun uccello.

Locandina del film Le streghe di Pier Paolo Pasolini

Di notevole qualità e di stile completamente diverso, il disegno di un altro fra i maggiori autori italiani, Enrico De Seta (1908-2008) per Le streghe (1967) che mostra sette volti di Silvana Mangano nei cinque episodi del film, con al centro l’immagine dell’attrice come appare in una delle sue “trasformazioni” in Una sera come le altre di Vittorio De Sica e, nella zona sottostante, i ritratti dei suoi principali partner maschili (nell’ordine, Alberto Sordi in Senso civico di Mauro Bolognini; Totò nell’episodio di Pasolini e Clint Eastwood in quello di De Sica, cui si aggiungevano La strega bruciata viva di Luchino Visconti e La siciliana di Franco Rossi).

Un’imitazione malriuscita della locandina disegnata da De Seta fu quella di Rodolfo Gasparri per Capriccio all’italiana (1968), film a episodi dove casualmente e incongruamente venne incluso dalla produzione De Laurentiis anche Che cosa sono le nuvole? (1967), l’ultimo breve film dove Pasolini diresse Totò. Su richiesta della produzione, Gasparri disegnò al centro della locandina (e relativo manifesto quattro fogli) Ira Fürstenberg (protagonista dell’episodio La gelosa di Bolognini) in posa fataleggiante, circondata in alto dalle fotografie della stessa  Fürstenberg, di Walter Chiari (sempre La gelosa), Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e Totò (protagonisti dell’episodio di Pasolini, ma il comico napoletano anche de Il mostro della domenica di Steno, da cui deriva la fotografia della locandina). Altri episodi del film, non evocati nell’affisso, sono La bambinaia di Mario Monicelli, Perché? di Bolognini e Viaggio di lavoro di Franco Rossi e Pino Zac (neanche menzionati dalla locandina).

Locandina del film Capriccio all’italiana di Pier Paolo Pasolini

L’anno precedente, nel 1967, era uscito Edipo re, di cui Roberto De Seta, in arte Bob De Seta, disegnò il manifesto due fogli e la locandina, originali e suggestivi nell’essenziale allusività delle due immagini: il servo di Laio che trasporta il piccolo Edipo sull’Acheronte dove rinuncerà a sopprimerlo e la reggia di Tebe, dove egli sposerà la madre, usurpando il trono paterno, e consumerà quindi l’incesto. Probabilmente questa immagine venne approvata da Pasolini. Ancora di Bob De Seta è la composizione grafica dei manifesti e della locandina di Teorema (1968), dove domina il volto di Terence Stamp, il dio che seduce e rivela a loro stessi tutti i protagonisti del film, con l’immagine di Silvana Mangano (la madre) nello spazio sottostante.

Come sempre è difficile, nel caso di un film a episodi, individuare un’immagine che possa essere evocativa di tutti: per Amore e rabbia (1969), che riunisce cinque cortometraggi ispirati a parabole evangeliche, il disegnatore Renato Ferrini (1910-2005) ha raffigurato due mani che si stanno per congiungere e altre due che invece si stanno aggredendo. La locandina e i manifesti di Porcile (1969) vennero dipinti da uno dei più importanti pittori di cinema, Angelo Cesselon (1922-1992) che ritrasse Pierre Clementi in posa cristologica su uno sfondo viola con, sullo sfondo, ancora un’immagine di Clementi con un elmo cinquecentesco, un ritratto di Ugo Tognazzi (uno dei protagonisti dell’episodio contemporaneo) e in alto un’altra immagine che si riferisce all’episodio antico, dove il “cannibale” impersonato da Clementi e i suoi complici vengono legati al suolo per  essere mangiati dai cani randagi. La figura tragica e ieratica di Clementi e il volto sardonico di Tognazzi riflettono efficacemente le due tonalità del film.

Enrico De Seta rivelò un eccellente talento anche in qualità di grafico, oltre che di disegnatore, nella concezione del manifesto quattro fogli e della locandina di Medea (1969), dove alcune fotografie di scena del grande Mario Tursi (1929-2008) vennero montate in modo da suggerire l’inquietudine e lo spaesamento della maga di Euripide. Anche Tino Avelli (1938), nel disegno per il manifesto due fogli e la locandina de Il Decameron (1971) colse il carattere popolare e la corporalità come cifra dominante del film, che inaugurò la Trilogia della vita, ritraendo al centro Ninetto Davoli (Andreuccio da Perugia) e, di spalle, Angela Luce (Peronella) mentre sullo sfondo ha evocato tre miniature di codici medioevali. La seconda locandina è invece opera di Marcello Colizzi che valorizza l’espressività sanguigna e la gestualità di Franco Citti (Ciappelletto) e di Vittorio Vittori (don Gianni), con l’immagine dei due giovani protagonisti della novella Caterina di Valbona in primo piano e sullo sfondo una veduta medioevale, un po’ incongrua perché sembra più Firenze che la Napoli dove è ambientato il film.

A oltre dieci anni di distanza da Accattone, Symeoni realizzò i manifesti e le locandine de I racconti di Canterbury (1972), di notevole originalità figurativa e cromatica, caratterizzata dal dinamismo e dal contrasto fra i corpi nudi e vestiti. Nelle locandine vennero “ritagliati” due particolari della scena grandiosa e orgiastica dipinta da Symeoni, con quasi tutti i personaggi del film. È di Symeoni anche la locandina del secondo film di Sergio Citti, collaboratore e allievo di Pasolini, Storie scellerate (1973), la cui sceneggiatura venne scritta con l’apporto del poeta-regista.

Locandina del film I racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini

Stranamente fu più convenzionale la scelta iconografica per un film di grande bellezza plastica e figurativa come l’ultimo della Trilogia, Il fiore delle Mille e una notte (1974), dove ci si limitò ad accostare tre fotografie di scena (neanche fra le più belle) di Angelo Pennoni (1922-1993).

Per Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975), che sarebbe purtroppo rimasto il suo ultimo film, uscito postumo, Pasolini avrebbe voluto coinvolgere Salvador Dalì, ma sarebbe stata una “trappola”: lo aveva scelto, infatti, in quanto artista compromesso con un regime dittatoriale come il franchismo. Ma la richiesta economica di Dalì fu inaccettabile e quindi si preferì ricorrere ad una fotografia di scena di Deborah Beer (1950-1994), trattata però in modo tale che sembrasse un’immagine sgranata e in bianco e nero, come se fosse stata ripresa quasi da una telecamera di controllo, dove si assiste ad una situazione emblematica della “riduzione del corpo a cosa” mostrata nel film, con alcune ragazze e ragazzi portati al guinzaglio come cani. La stessa situazione di aberrante umiliazione fisica e psicologica che campeggia nella seconda locandina del film, stavolta a colori.

Saggio tratto dal catalogo della mostra presso la Fondazione Magnani-Rocca “Pier Paolo Pasolini. Fotogrammi di pittura” (Silvana editoriale, 2021)


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