Mille mondi: Mirò

Un artista a tuttotondo. Ecco ciò che fu Miró. Fu mille mondi molteplici, diversi, dai labili confini, quindi affini.

Fu amante dell’arte in ogni sua forma, sia che fosse pittura o scultura, musica o letteratura. L’unica condizione per poterla amare, e da lei poi lasciarsi amare, fu soltanto una: sarebbe dovuto esistere sempre un dialogo tra essa e il suo più profondo mondo interiore. Durante l’arco della sua lunga vita (muore infatti a 90 anni) si cimentò anche nelle illustrazioni di opere letterarie. Non a caso fu un grande bibliofilo e appassionato di poesia. Il legame che unisce la poesia all’umano bisogno di narrare in versi sentimenti, vita e colori è lo stesso che unisce Miró alla sua arte. L’amore per la letteratura lo portò a realizzare più di 260 tra libri cartelle cataloghi e riviste, prodotti tra il 1928 e il 1985.

Si lasciò ispirare dalle opere letterarie, partendo da forma e contenuto, per poterle poi valorizzare e renderle ancora più complete, piene, e poi vaste perché imbibite della sua arte sincera, pura, vera.

Joan Miró, Femmes et oiseaux II, 1969, olio su tela. Foto Joan Ramon Bonet. Archivo Successió Miró © Successió Miró ADAGP, Paris, by SIAE 2021

Accadde che altri artisti e letterati si alimentarono delle stesse illustrazioni e, come azione a cui corrisponde una reazione uguale e contraria, furono da esse travolti e influenzati. Una piccola precisazione è d’obbligo: non si può definire Miró anche un illustratore, perché fu molto di più. Non si limitò a ornare fogli bianchi, tantomeno a riempirli, né i fogli bianchi furono tele alternative per la sua consueta arte. Ecco ciò che fece: si rinnovò e tradusse in litografia proprio lo stesso mondo raccontato dalle parole nel testo.

Il primo libro illustrato è Il était une petite pie di Lise Hirtz, raccolta in versi dedicata al figlio. Sono vere e proprie favole per adulti e le illustrazioni sottolineano il legame tra Miró e l’età primordiale, il mondo infantile fatto di semplicità, colore, forma. Seguono poi altre opere illustrate tra le quali è possibile ricordare …et les seins mouraient di Benjamin Péret del 1929; è di un anno dopo L’arbre des voyageurs di Tristan Tzara.

Sempre di Tristan Tzara, poeta rumeno, è il Parler seul, poema pubblicato nel 1950 a Parigi; esso consta di settantadue litografie di Miró. La custodia è un’opera d’arte tridimensionale, costituita da due facce che presentano litografie originali; la copertina riporta un collage realizzato con un pezzo di giornale. I colori sono densi, semplici, rotondi: bianco, nero, rosso, giallo, azzurro, verde (gli stessi che Leonardo da Vinci riporta nel Trattato della pittura).

Joan Miró, copertina di Parler Seul di Tristan Tzara

Parlare da soli è un sintomo del comportamento tipico dell’alienazione (infatti nello stesso periodo in cui avviene la stesura del testo Tzara risiede nel manicomio di Saint-Alban, nel quale ha la possibilità di osservare i malati). Parlare da solo non è soltanto un atteggiamento del delirante, può anche essere quello del malato che si scopre malato e inizia a guarire, oppure del guarito, o del savio, di colui che si ripiega su di sé e si ascolta e si comprende e si si scopre o, semmai, riscopre.  Parla da solo colui che dialoga con sé e si scopre un po’ più intero, un po’ più completo.

Nasce quindi un testo molto particolare in cui le parole si susseguono senza alcun senso apparente, proprio come in un dialogo interiore, proprio come se sgorgassero direttamente dalla fonte dell’uomo: la sua anima. Non ci sono freni né regole né vincoli, c’è solo il fluire continuo dei pensieri dell’autore. Nessuna maiuscola, nessun segno di punteggiatura, nessun ordine.

Tzara, adottando la tecnica dello stream of consciousness, genera un flusso di coscienza che consente a Miró di esprimersi al meglio. Il poema di Tzara e l’arte di Miró si fondono dando vita a un’opera d’arte che si colora di sogni, inconscio, interiorità, che si riallaccia a un secolo scosso sin dalle radici, dal quale sono state sradicate le certezze, cancellati i punti fermi da rivoluzioni epistemologiche che soffiano sulla razionalità per dare spazio a tutto ciò che razionale non è.

Joan Miró, Femme, oiseaux, constellations, 1976, olio su tela. Foto Joan Ramon Bonet. Archivio Successió Miró © Successió Miró ADAGP, Paris, by SIAE 2021

La tradizione arretra, vinta, per lasciare spazio all’inconscio che, non potendosi rivelare per ciò che è, assume una forma altra, una forma di compromesso in modo da dire ciò che ha da dire senza disturbare troppo. Si parla da soli: il semplice parlare è sintomo di uno scandaglio interiore molto più profondo, al quale va concesso libero sfogo perché solo tramite esso si può giungere a ritrovare sé. Miró realizza una vera e propria riscrittura grafica del testo di Tzara, offrendo una versione visiva, artistica, di ciò che l’autore edifica nel proprio testo.

Partendo come di consueto dalla realtà, sfuggendo da convenzione e banalità, dà vita a litografie così dense di significato, gonfie di simboli, di segni sepolti, di emozioni vibranti. Qui c’è tutta l’umanità nella sua declinazione più umile, etimologicamente intesa. C’è l’aderenza alle cose semplici, dirette, basse, umili; c’è la vicinanza alla terra, alla libertà. Ci sono colori puri. C’è tanto, di tutto.

Le opere di Miró presentano immagini che, se ascoltate, non parleranno affatto da sole, ma parleranno ai nostri mille mondi, interiori.

Autore: Sofia Bertolotti


Scopri tutti i contenuti della mostra Miró. Il colore dei sogni, la mostra focus Pier Paolo Pasolini. Fotogrammi di pittura e molto altro nell’Archivio storico